TECNOLOGIE IN ETA’ EVOLUTIVA: DALL’USO ALL’ABUSO

Giorgia Berteotti – Ilenia Andreolli

Gli ultimi decenni hanno determinato rapidi cambiamenti nei nostri stili di vita introducendo un uso sempre maggiore della tecnologia nel quotidiano. Come per altri strumenti, anche l’uso della tecnologia dovrebbe essere regolamentato, poiché un utilizzo eccessivo può sfociare in una dipendenza comportamentale. Tuttavia, l’individuazione di un uso patologico risulta complessa, in quanto l’ampia accettazione sociale dei dispositivi digitali può rendere difficile distinguere i comportamenti problematici da quelli funzionali. Spesso, infatti, l’impiego prolungato della tecnologia viene giustificato dal presupposto che le persone stiano svolgendo attività importanti.

La facile accessibilità e l’ampia accettazione sociale della tecnologia, inoltre, contribuiscono a non percepirla come una minaccia, a differenza di altre forme di dipendenza, come alcol o droghe, che vengono subito associate a un pericolo. Eppure, anche l’abuso patologico della tecnologia può avere effetti significativi sulla salute e sul benessere.

Per identificare una dipendenza comportamentale, Mark Griffith (2005) ha definito sei criteri:

  • preminenza, quando il comportamento assume un ruolo centrale nella vita della persona, a scapito di altre aree importanti;
  • modificazione dell’umore, quando si manifestano cambiamenti emotivi significativi legati al comportamento, spesso in senso spiacevole;
  • tolleranza, quando è necessario intensificare il comportamento per ottenere gli stessi effetti iniziali;
  • sintomi da astinenza, quando l’interruzione del comportamento provoca disagio emotivo o sintomi fisici spiacevoli;
  • conflitto, quando il comportamento genera contrasti con altre attività o relazioni interpersonali;
  • recidiva, quando sono presenti ricadute anche dopo tentativi di controllo o astensione.

In risposta ai cambiamenti sociali e tecnologici in atto, anche il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) sta introducendo nuove categorie diagnostiche per meglio affrontare l’uso problematico di internet. Attualmente nel DSM-5 si riconosce l’Internet Gaming Disorder all’interno della sezione 3 come “Disorder In Need of Further Study”.  Questo riconoscimento preliminare segnala la consapevolezza del problema potenziale dell’uso eccessivo di internet, ma indica anche la necessità di ulteriori ricerche prima che tale disturbo possa essere incluso in altre classificazioni diagnostiche.

Secondo un’indagine di Save The Children (2023) emerge che il 5% dei giovani tra i 14 e i 21 anni è moderatamente dipendente da internet, mentre lo 0,8% lo è gravemente.

In età evolutiva, l’abuso di internet può manifestarsi in diverse forme, tra cui le più riconosciute a livello internazionale:

  • Dipendenza dai videogiochi, spesso legata a giochi online ricchi di stimoli e ricompense;
  • Gioco d’azzardo online, inclusi casinò virtuali, scommesse sportive e trading compulsivo;
  • Dipendenza dai social media, caratterizzata da una ricerca costante di approvazione e feedback;
  • Dipendenza dalla pornografia online, con ricadute sulla sfera relazionale e sessuale;
  • Dipendenza da shopping online, legata a comportamenti compulsivi volti a regolare emozioni negative;
  • Dipendenza dal lavoro digitale, dove il lavoro diventa un rifugio ma compromette la salute mentale;
  • Uso problematico dello smartphone, che può generare effetti collaterali come ansia, insonnia e depressione.

Le neuroscienze hanno confermato l’impatto dell’abuso tecnologico sul cervello in via di sviluppo, in particolare durante l’infanzia e l’adolescenza, fasi in cui il cervello è altamente plastico e quindi più vulnerabile. Le aree più colpite includono:

  • Corteccia prefrontale: ridotta maturazione di quest’area compromette l’autoregolazione, il pensiero critico e la gestione degli impulsi.
  • Sistema di ricompensa (nucleus accumbens, striato ventrale, dopamina): viene iperstimolato, portando alla ricerca compulsiva di stimoli digitali e a una ridotta risposta a gratificazioni naturali.
  • Amigdala: un uso eccessivo dei social media può aumentare la sensibilità a feedback negativi, alimentando insicurezze e ansia sociale.
  • Corpo calloso: l’alterazione della sua integrità può compromettere l’equilibrio tra emisferi e funzioni cognitive-emotive.
  • Corteccia cingolata anteriore (ACC): una riduzione dell’attività in quest’area è associata a scarsa concentrazione e difficoltà nella gestione di compiti cognitivi complessi.
  • Ippocampo: può risultare meno attivo nei soggetti sovraesposti a contenuti digitali, favorendo un apprendimento più superficiale, guidato da processi automatici (attivazione del nucleo caudato).

La letteratura internazionale sui media tradizionali (come TV o lettori DVD) ha sottolineato una forte associazione tra un impiego eccessivo di tali dispositivi nella prima infanzia e ritardi di tipo cognitivo, linguistico, emotivo e sociale (Reid Chassiakos & Christakis, 2016). Su cosa sono fondate le ragioni di tale associazione? Sembrerebbe che il legame nasca dalla visione di programmi non adatti all’età del bambino, nonché su una fruizione prettamente passiva e coadiuvata da un’assenza di interazione adulto/bambino (Wethington, Pan, & Sherry, 2013).

Le nuove tecnologie, d’altro canto, non si basano su una fruizione di tipo meramente passivo ma, al contrario, le modalità sono decisamente interattive, consentendo all’utilizzatore di usufruire di un insieme di programmi e applicazioni in maniera assai rapida e in modalità multitasking. Non è dunque possibile escludere dei rischi legati all’utilizzo precoce di tali tecnologie attuali (Cannoni, Scalisi, & Andrea, 2018). Nei tempi moderni, infatti, tre caratteristiche hanno preso piede nelle attività non solo degli adulti, ma anche dei bambini (Montano & Villani, 2018):

  • Celerità
  • Multitasking
  • Speditezza

In conclusione, l’utilizzo della tecnologia può rappresentare una risorsa straordinaria se gestita in modo equilibrato e consapevole. Non si tratta di demonizzare gli strumenti digitali, ormai parte integrante della nostra quotidianità, ma di sviluppare competenze critiche che ci aiutino a riconoscerne sia le potenzialità che i rischi.

Inoltre, conoscere i rischi e favorire un’educazione digitale sana aiuta a promuovere un uso consapevole, ponendo attenzione alla qualità del tempo online e alle motivazioni, in un’epoca segnata dal digitale.